domenica 30 agosto 2009

4. I partiti

Il partito politico moderno origina dalla diffusione dei fermenti rivoluzionari del XVIII secolo, che decretano il tramonto dei regimi autocratici e la trasformazione dei sudditi in cittadini, e si afferma nel momento in cui al ricco signore aristocratico, il cui potere poggia su un vasto seguito di servitori e clienti, subentra il politico di professione, il cui potere poggia sul consenso elettorale.
Il partito ha la sua ragion d’essere nella riconosciuta mancanza di valore degli individui e del popolo.
Benché gli studiosi vadano affermando che la principale funzione del partito sia quella di conquistare voti, in realtà, il partito altro non è che l’atto attraverso il quale si sancisce l’incapacità radicale delle persone e del popolo di curare i propri interessi.
Secondo l’apparenza, i partiti sono espressi dai cittadini a garanzia dei propri interessi. In realtà, essi sono strutture verticistiche e, in quanto tali, essi rispondono più agli interessi degli eletti che a quelli degli elettori.
Oggi si parla di crisi dei partiti, e a ragione. A mio giudizio questa crisi è strutturale e senza possibilità di ritorno, perché il suo superamento presupporrebbe di rimettere al centro della scena politica la persona accreditata delle capacità di cogliere i propri reali interessi, accordare cioè fiducia ai cittadini, ma, così facendo, crollerebbero i fondamenti ideologici del partito stesso, ossia l’inettitudine aprioristica dei cittadini, e, crollando il fondamento, crollerebbero anche i partiti.

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